Le parti di un'unione civile e i conviventi di fatto possono chiedere i tre giorni di permessi retribuiti previsti dalla legge 104/92 in caso di disabilità del partner, ma non possono fare la richiesta per l'assistenza dei parenti del compagno, dato che «tra una parte dell'unione civile e i parenti dell'altro non si costituisce un rapporto di affinità». A chiarirlo è l'Inps con circolare n. 38/2017 pubblicata ieri, nella quale si spiega che «l'articolo 78 del Codice civile non viene espressamente richiamato dalla legge n.76 del 2016», regolante le unioni civili.
L'Inps sottolinea che la parte di un’unione civile, la quale presti assistenza all'altra parte, può usufruire sia dei permessi previsti dalla legge 104, sia del congedo straordinario previsto dalla legge 151/2001 (due anni di permesso indennizzati in caso di parenti in situazione di disabilità grave conviventi fino al terzo grado in assenza di genitori o figli della persona disabile), mentre il convivente di fatto che presti assistenza all'altro convivente può usufruire unicamente dei permessi previsti dalla legge 104. Per i conviventi di fatto, in particolare, la Consulta con la sentenza 213/2016 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 33, comma 3, della legge 104/1992 nella parte in cui non include il convivente tra i soggetti legittimati a fruire del permesso mensile retribuito per l'assistenza alla persona con disabilità in situazione di gravità, in alternativa al coniuge, parente o affine di secondo grado. «La Corte sostiene - sottolinea Inps - che sarebbe irragionevole non includere il convivente della persona disabile in situazione di gravità nell'elencazione dei soggetti legittimati a fruire dei benefici in questione».
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